La straordinarietà dell’oggetto più ordinario
“Intanto posso già dirti che i due ultimi studi sono molto strani. Quadri da 30, una sedia di legno e di paglia giallo pieno su un pavimento di mattoni rossi contro la parete (giorno). Poi la sedia di Gauguin, rosso e verde, umore notturno, pareti e pavimento anch’essi rosso e verde, sul sedile due romanzi e una candela.” (Lettera 536 a Theo, Vincent Van Gogh – 1888).
Com’è noto, Vincent Van Gogh e Paul Gauguin hanno avuto un breve e violento sodalizio artistico finito in maniera a dir poco tragica: Gauguin soffocato dalla provincialità di Arles e dalle divergenze stilistiche e pittoriche che aveva col pittore olandese se ne andò mentre Van Gogh vittima della sua stessa furia autolesionista si lacerò l’orecchio.
Nello stesso anno, Van Gogh dipinse i due quadri descritti nella lettera all’amatissimo fratello Theo di cui sopra. Le tele in questione sono La sedia di Vincent (1888) e La sedia di Gauguin (1888) conservate rispettivamente alla National Gallery di Londra e al Van Gogh Museum di Amsterdam. Il soggetto dei due quadri è lo stesso: una sedia. Quella di Gauguin è visibilmente a frutto di una lavorazione raffinata e infatti è molto elegante. Sulla seduta, troviamo dei libri e un lume acceso come a indicare un posto a cui tornare. Di contro, la sedia di Van Gogh è grezza e se non fosse per quell’unico particolare, ovvero la pipa, sarebbe completamente spoglia.
Insomma, due personalità assolutamente diverse rappresentate in maniera non canonica come lo potrebbe essere un ritratto. La domanda sorge allora spontanea: perché Vincent Van Gogh ha deciso di rappresentare sé stesso e Gauguin tramite un oggetto? E perché un oggetto che ai nostri occhi può risultare estremamente banale come una sedia? Per la psicologia la sedia è sinonimo di paura dell’abbandono.
E per il mondo del design la sedia cos’è?
Potrà sembrare quanto meno singolare parlare di un oggetto così comune e al quale solitamente non pensiamo più di tanto. Bene, detto questo immaginatevi una vita senza sedie (e senza divani, poltrone, sgabelli e tutti quegli oggetti che sono avi della sedia). Lo so, sembra una sciocchezza, ma immaginatevi intorno a un tavolo pronti a consumare delle pietanze in piedi, per ore. Ancora, immaginate di essere in un qualche ufficio (come la banca, le poste e via dicendo) a fare una fila che potrebbe durare anche parecchio sempre in piedi. Immaginate di andare in un cinema e davanti al grande schermo a sgranocchiare pop corn rigorosamente in piedi.
È vero, in tutte queste situazioni ci si potrebbe sedere per terra o trovare altre soluzioni creative per evitare di stancare gambe e piedi. Situazioni paradossali a parte, una vita senza sedie sarebbe scomoda.
In questo momento arriva il design che prima di essere estetico deve essere funzionale e comodo. Il design è sinonimo di problem solving. L’importanza (e anche la bellezza) dello stare seduti – preferibilmente in maniera corretta – riguarda chiunque. Per esempio, per il lavoro d’ufficio che prevede di stare seduti per molte ore davanti ad uno schermo, è stato fatto un protocollo sulla sicurezza che riguarda proprio lo stare seduti a partire dalla tipologia di sedia da utilizzare. In aggiunta, l’altezza della seduta e la posizione corretta dei braccioli. Per quanto stare seduti possa sembrare un’attività così passiva e banale da non aver necessità di istruzioni, la realtà dei fatti è ben diversa: avere una buona postura da seduti è pressoché fondamentale per evitare di percepire dolore fisico e recare danno al nostro corpo e benessere.
È proprio questo campo di studio che si concentra la branca scientifica chiamata ergonomia: studiare le problematiche derivanti dal lavoro in rapporto alla progettazione di macchine e postazioni operative, al fine di individuare le soluzioni più idonee alle esigenze psicofisiche dei lavoratori.
L’obiettivo comune del design ed ergonomia è il benessere dell’individuo
Design ed ergonomia vanno a braccetto in quanto hanno come obiettivo comune il benessere dell’individuo. Ma il design ha una caratteristica in più, un obiettivo molto caro all’essere umano da sempre: è votato alla bellezza che in questo caso significa equilibrio, armonia, uno studio d’insieme che vede la relazione dell’oggetto con l’ambiente circostante e con chi questo ambiente lo abita. Vista la sua carica estetica, il design è parte integrante del mondo dell’arte.
Nel 1925 nella scuola d’arte tedesca del Bauhaus, sede dell’avanguardia anteguerra legata al funzionalismo e al razionalismo, Marcel Breurer progettò la sedia Modello B3, meglio conosciuta come sedia Wassilly. Il nome singolare della sedia è un tributo a Wassily Kandinskij, il celebre pittore russo precursore dell’astrattismo che per qualche tempo insegnò al Bauhaus. La novità di questa sedia nasce dalla sottrazione: Breurer volle ridurre le forme della tipica poltrona imbottita rivelando la sua struttura leggera. Il concetto ruota attorno alle parole elasticità, igiene, leggerezza e allo stesso tempo resistenza. Breurer utilizzò materiali nuovi e inauditi come l’Eisengarn (un materiale tessile) e tubi d’acciaio nichelato utilizzati anche nella costruzione della bicicletta Adler.
La particolarità di questa sedia è che risulta è assolutamente comoda, accogliente e anatomica nel suo insieme. Queste caratteristiche la elevano dallo status di opera d’arte rendendola un elemento di design.
Questo vale anche per la celeberrima Chaise Longue progettata dall’architetto Perriand che lavorava per lo svizzero Le Corbusier. A differenza delle opere d’arte – la cui caratteristica è di essere un’opera originale, unica e irripetibile – le opere di design non perdono il loro valore con la produzione in serie anzi: la produzione in serie può rendere famosi gli oggetti di design e farli conoscere al grande pubblico attraverso le riproduzioni, rendendoli così, per alcuni, degli elementi di design iconici.
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Bisogna ricordare però che non tutte le opere nate come elemento d’arredo possono diventare oggetti di design: alcune -per ragioni funzionali- non possono appropriarsi dello status di oggetto di design.
Un esempio è la Sedia rossa e blu progettata dal designer olandese Gerrit Rietveld nel 1917. Questa famosissima sedia ha ispirato, nella posizione dello schienale, la sedia Wassily. La composizione astratta e ideale della sedia Rossa e blu è un esempio ante litteram di quella che sarà la poetica del De Stijl. La sedia è data da un intreccio di linee (ovvero i tasselli di faggio di cui è costituita) verticali e orizzontali giustapposte senza compenetrarsi. Questa sedia è essenzialmente la concretizzazione dell’opera di Mondrian a livello tridimensionale e questo è visibile anche nell’utilizzo dei colori quali il rosso, il giallo e il blu. Però, non è un’opera di design che è stata prodotta in serie e venduta sul mercato. Perché? La risposta la troviamo nelle parole dell’architetto e pittore Theo van Doesburg che descrive questa sedia come una:” scultura astratta-realistica per gli interni delle nostre case future”. La parola chiave è appunto scultura. La sedia rossa e blu è l’antitesi dell’ergonomia. Essenzialmente, è scomoda e per questo motivo il suo status rimane quello di opera d’arte unica, originale, irripetibile e assolutamente non serializzabile.
Forse la sedia allora non è un oggetto così banale come crediamo. Pensiamo a quanto hanno fatto discutere in quest’anno segnato dalla pandemia le sedie con banco incorporato a rotelle fortemente volute per le scuole. Soffermiamoci sull’importanza che la sedia a rotelle ha e quanto questa possa donare più indipendenza e libertà alle persone con disabilità motorie.
Oltre al benessere della persona, un altro obiettivo del design è di rendere più facili le azioni che compiamo quotidianamente andando incontro a problematiche come per esempio un lavoro sedentario, causando disturbi alle articolazioni oppure la disabilità motoria- pensando a oggetti che ci paiono così semplici, comuni e banali come le sedie.