Il più grande inganno nella storia dello sport

 

Benvenuti a Reykjavík, è il 22 agosto 1972

 

Presso l’arena di Laugardalshöll si sta giocando la diciassettesima partita della finale del campionato del mondo di scacchi, tra Bobby Fischer e Boris Spasskij. Il clima è particolarmente teso: il mondo è nel pieno della guerra fredda e l’incontro viene considerato la perfetta rappresentazione dello scontro tra Stati Uniti d’America e Unione Sovietica. I riflettori di tutto il mondo sono puntati sulla sfida. Il dominio russo nel mondo degli scacchi dura da più di vent’anni, infatti è dalla fine della seconda guerra mondiale che la finale di ogni campionato si è sempre giocata tra due rappresentanti dell’Unione Sovietica. Per la prima volta dopo molto tempo si compone invece un’inconsueta coppia di finalisti in un particolare contesto politico e questo genera un’incredibile attenzione sul match, tant’è che per la prima volta viene trasmesso un incontro di scacchi in televisione.

Spasskij è considerato il favorito. Campione in carica, mai sconfitto da Fischer nei pochi incontri precedenti e supportato da quella che viene chiamata “la macchina russa degli scacchi”. Ogni partita degli avversari di Spasskij viene studiata nei minimi dettagli dai migliori giocatori russi, che aiutano il campione nella definizione delle strategie e nell’impostazione delle partite facendo diventare così l’Unione Sovietica la regina incontrastata nel mondo degli scacchi. Fischer è invece l’esatto opposto di Spasskij: molto eccentrico (a volte addirittura fastidioso), non è sostenuto dal proprio governo quanto il russo e avanza strane richieste all’organizzazione dell’evento.

Il sovietico vince le prime due partite, una – a detta di molti gran maestri – per un suicidio scacchistico di Fischer, e l’altra, per il forfait dell’americano dovuto al fatto che il rumore delle telecamere nella prima partita gli avrebbero provocato alcune distrazioni. Tutta la stampa mondiale si interroga sul proseguo del torneo, sembra che Fischer sia vicino all’abbandono determinando l’ennesima vittoria dell’Unione Sovietica. La leggenda narra che Fischer abbia ricevuto addirittura una telefonata dal consigliere per la sicurezza nazionale statunitense Henry Kissinger, il quale provò a dissuaderlo da un eventuale forfait facendo leva sul suo patriottismo.

 

Pazienza, follia e temerarietà di un campione

 

Stupendo tutti, l’americano si presenta alla terza partita mantenendo un atteggiamento arrogante con l’organizzazione per verificare il rumore delle telecamere e, dopo qualche commento di troppo, finalmente prende posto di fronte ad uno Spasskij visibilmente irritato, vincendo il match e portandosi così a 2-1. La sfida prosegue fino alla sesta partita, considerata la svolta del torneo. L’americano, invece della classica apertura con il pedone davanti al re (e4), decide di ingannare l’avversario con una mossa che aveva fatto solo altre due volte nella sua intera carriera: aprendo con il pedone davanti all’alfiere (c4). In questo modo, riesce a mettere sotto scacco l’intera macchina russa a supporto di Spasskij, che analizza tutte le aperture dello statunitense da quando aveva dodici anni. La finale del campionato del mondo gli è sembrata il miglior momento per tirare fuori l’asso dalla manica. Fisher ha infatti aspettato per diciassette anni l’occasione perfetta per spiazzare gli avversari inserendo nel suo repertorio un’apertura utilizzata pochissimo pubblicamente, che gli ha permesso di arrivare alla diciassettesima partita in vantaggio per 9 ½ a 6 ½.

Ma la stravaganza e genialità dell’americano non smettono di stupire: durante la diciassettesima, gioca per la prima volta in carriera la Difesa di Pirc sorprendendo nuovamente il russo e tutti i suoi sostenitori. La pazienza, la follia e la temerarietà di Fischer ripagano, in quanto viene proclamato campione il primo settembre del 1972, dopo una resa di Spasskij, con il punteggio di 12 ½ a 8 ½. Le inaspettate e astute mosse dell’americano, dispiegate dopo ben diciassette anni di professionismo, saranno ricordate per sempre come due delle trappole più geniali della storia dello sport.

 

 Julian Beccari